Ermal Meta sarà tra i big del Festival di Sanremo 2021 con Un milione di cose da dirti e nell’incontro stampa al quale abbiamo partecipato ha raccontato di cosa parla il pezzo, ha anticipato alcune tematiche del nuovo disco Tribù umana e molto altro
Ermal Meta sarà tra i big del Festival di Sanremo 2021 con Un milione di cose da dirti e nell’incontro stampa al quale abbiamo partecipato ha raccontato con che spirito affronta il palco dell’Ariston dopo la vittoria del 2017 con Non mi avete fatto niente: «Ci vado con uno spirito completamente diverso, tornare dopo aver vinto potrebbe risultare una pretesa di confermarsi sul più alto gradino del podio ma ho scelto di presentarmi di nuovo solo perché è l’unico palco dove posso esibirmi e fare ascoltare una canzone che fa parte di un disco. Non ho messaggi particolari da lanciare, il mio proposito è esclusivamente musicale. Spero che chi mi ascolta possa emozionarsi insieme a me.»
La canzone presentata al Festival fa parte del nuovo album Tribù umana, nato immaginandosi pubblico in platea: «Ho una voglia immensa di portarlo dal vivo, in genere scrivo immaginandomi di essere sul palco. Stavolta mi sono messo in platea facendo finta di essere parte del pubblico e ho riflettuto sul fatto che molte persone che vanno a vedere i concerti lo fanno anche per cantare. Mi sono messo nei panni dei miei fan e ritengo che siano brani potenzialmente cantabili a squarciagola. C’è molta ricerca nei suoni, una commistione di cose diverse, troviamo la parte classica del cantautorato italiano come nel pezzo sanremese, in altre non sono rimasto all’interno di un genere. Il titolo mi è venuto in mente una volta che ho finito ascolto tutte canzoni. Da sempre l’uomo tende a stare insieme, una tribù la definisco l’anima che unisce persone che vivono in uno stesso ambiente. Oggi le città sono sempre più diversificate ma nella maggior parte dei casi questo porta a incontri e a una positiva integrazione».
Per quanto riguarda invece Un milione di cose da dirti Ermal racconta di cosa parla e la definisce una canzone d’amore verticale: «L’ho scritta tre anni fa, stavo attraversando un periodo particolare, era da poco iniziata la carriera da solista e la mia vita era piena di piccole e grandi scosse d’assestamento. Avevo un blocco emotivo e interiore e l’unica cosa che potevo fare era quella di scrivere una canzone per liberarmi e il testo è venuto fuori in maniera immediata, una decina di minuti. Non ho utilizzato due nomi ma i protagonisti sono cuore a sonagli e occhi a fanale, volevo rendere fiabesca questa storia. Quando due persone si amano non ci si chiama più per nome e quando lo si fa sembra quasi strano. La definisco una canzone d’amore verticale che parte dal basso e cerca di salire, una semiretta che non sai dove va a finire, racconta la gioia della consapevolezza di avere avuto qualcosa di importante, di essere felici per quello che si è avuto. Dal punto di vista concettuale mi sono basato su Anna e Marco che nel finale sono andati via insieme ma dove sono andati? Questo non lo sapremo mai ma hanno potuto almeno sognare».
Se Anna e Marco ha ispirato l’inedito in gara, Lucio Dalla torna anche nella scelta della cover, Caruso: «Mi ero totalmente dimenticato che canterò il 4 marzo e che sarà il 50esimo anniversario di 4 marzo 43, non avevo fatto il calcolo delle date. Mi è stato riportato all’attenzione dalla mia fidanzata una settimana fa. Ho scelto Caruso, la canzone che tutti mi hanno sconsigliato di fare, perché cerco sempre di andare controcorrente, preferisco misurarmi con i miei limiti. Magari sbaglierò però ci voglio provare. Mi sono messo al piano e ho registrato la cover, l’ho mandata a Diego Calvetti e ho chiesto a lui un arrangiamento degno della grandezza del pezzo. Li ho suggerito di farla con dei mandolini perché rappresenta la napoletanità. Quando sono stato a Napoli la prima volta mi sono sentito come a casa, sento vicina quella città e ritengo che sia una rappresentazione dell’Italia intera. Chi non la capisce non può capire l’Italia, anche musicalmente. Preferisco la serata delle cover a quella dei duetti perché sono canzoni conosciute da tutti, il pubblico si concentra sull’interpretazione. Se ci fosse stata obbligatoria la serata con ospite probabilmente avrei voluto Bersani o Zampaglione».
C’è stato anche tempo di parlare di alcuni pezzi specifici del disco, come Il destino universale in cui troviamo anche Ermal Meta tra i personaggi: «Il movimento della umanità è importante come il sangue che circola. Ne sono la testimonianza, ho voluto mettermi là in mezzo perchè ho lasciato l’Albania a 13 anni» e Stelle cadenti che si presenta come «la fotografia fatta da un ubriaco, è molto artistica e tende ad essere poco nitida, diventa più estiva».
Infine il brano Nina e Sara nato da un’esperienza personale e che racconta dell’amore tra due donne: «Mandiamo una sonda su un pianeta ma in fatto di libertà individuale siamo ancora nel Medioevo. Ho deciso di ambientare questa storia nell’estate del 1987 nel sud Italia, nasce da una storia personale. A 16 anni avevo una fidanzatina, era molto strana, la vedevo come un’anima in pena, non ero in grado di capire cosa lei avesse. Ci siamo lasciati e dopo due o tre anni l’ho trovata felice con una ragazza. Il tabù era talmente forte e non era in grado di ammettere a se stessa che le piacevano le donne, aveva una rabbia dentro che portava a farsi del male da sola sul piano emotivo. Quello che lei provava non era sbagliato e la società non le aveva dato gli strumenti per capirlo. Quando la vidi che stava bene, pensai a quanto lei avesse sofferto prima».