Elvira, lo spettacolo diretto dal grande Toni Servillo, protagonista insieme a Petra Valentini, Francesco Marino e Davide Cirri, è in scena al Teatro Argentina dal 21 maggio al 2 giugno. Una riflessione sul mestiere dell’attore che, nonostante la presenza scenica di Servillo, manca di spunti riflessivi e di sapidità.
Un testo di Brigitte Jaques che si unisce alle parole di Louis Jouvet
Elvira nasce dalla volontà dell’attore e regista Toni Servillo diriproporre la conoscenza e le riflessioni che l’attore francese Louis Jouvet ha esposto durante le sette lezioni che ha tenuto al Conservatoire National d’Art dramatique di Parigi durante il periodo di occupazione nazista attraverso un testo di Brigitte Jaque, Elvire Jouvet 40. Ciò che ne scaturisce è una forma esplicita di meta-teatro, all’interno della quale Toni Servillo veste i panni di Jouvet, il regista che cerca di insegnare ai propri allievi, ed in particolare a Claudia, interpretata da Petra Valentini, le tecniche attoriali migliori.
L’opera su cui stanno lavorando è il Don Giovanni di Molière, e la giovane attrice si sta cimentando con un dialogo in cui Claudia, follemente innamorata del seduttore, tenta un’ultima volta di farlo redimere dei peccati commessi per evitare che egli finisca all’inferno. L’intera vicenda è da inserire durante l’occupazione nazista in Francia, più precisamente durante il mese di febbraio del 1940. La contestualizzazione cerca quindi di dare ancora più sapore alla scena e arricchisce di dettagli la storia, conferendo al teatro ed alla figura dell’attore una maggiore importanza.
Il mestiere dell’attore
«Vi dico una cosa essenziale. Ogni volta che avete la sensazione che una cosa venga facile, parlo di una cosa ottenuta senza sforzo, questo non è bene. L’esecuzione di una parte, quale che sia, comporta sempre qualcosa di difficile, di doloroso.» Queste le parole che Toni Servillo, nelle vesti di Jouvet, regala a Claudia, interpretata da Petra Valentini, per spiegarle con che animo andrebbe affrontato il testo di Brigitte Jaques, di cui la ragazza sarebbe protagonista. I consigli del regista Servillo si mescolano con le riflessioni di Louis Jouvet creando una mescolanza di idee ed opinioni da cui appare impossibile discernere le une dalle altre.
Il dialogo tra Servillo nei panni del registra Jouvet e l’allieva Claudia ritrae pienamente il mestiere dell’attore e la sua difficoltà nel dover riproporre al pubblico una sfera del privato che appartiene sia all’emotività del personaggio che quella dell’attore che lo porta in scena. Il tutto in un contesto di guerra e paura. In questo ultimo elemento va, infatti, ricercato il senso più vero dello spettacolo: non soltanto la recitazione come mestiere affascinante e totalizzante, ma anche il teatro come metodo di estraniamento dalla realtà circostante. Non è un caso, perciò, che si voglia sottolineare più volte la data durante il quale le prove del Don Giovanni di Molière hanno avuto luogo: il 1940 ha segnato per la Francia un’epoca di brutalità e distruzione.
Un racconto nel racconto – il meta-teatro
Sebbene l’amore che Toni Servillo riserva al teatro si possa notare nella sua interezza, va sottolineato che lo spettacolo non raggiunge fino in fondo i concetti cardine che vorrebbe toccare. La contestualizzazione storica della vicenda, anziché donare spessore al racconto lo circonda soltanto lievemente senza dare una vera e propria nota di colore al tutto. Appare dunque difficoltoso riuscire a scoprire come anche la recitazione sia stata intaccata dall’arrivo della guerra e dalla sua durezza: di ancor maggiore difficoltà risulta la comprensione della vicenda di cui è protagonista l’allieva di Jouvet, il cui nome reale sarebbe Paula Dehelly, un’attrice e doppiatrice ebrea scomparsa undici anni fa, che aveva subìto l’obbligo di non esercitare più la propria professione.
Nonostante i passaggi temporali siano scanditi chiaramente da una voce maschile e delimitino senza dubbio lo scorrere del tempo, chiunque non fosse venuto a conoscenza precedentemente della storia della Dehelly, con ogni probabilità non avrebbe colto il messaggio di fondo. Tanti sottintesi, tanti rimandi ai concetti di Jouvet che tendono ad appesantire l’opera senza donarle troppi spunti interessanti: ad alleggerire il racconto soltanto la comicità di Servillo e le sue indubbie doti recitative. Il confronto tra gli attori dell’epoca e quelli odierni pare avvicinare il pubblico in sala alle opinioni professionali del regista, che riesce a catturare l’attenzione in sala per tutta la durata soltanto agli esperti in campo recitativo.
Toni Servillo in scena e fuori dalla scena
Non ha bisogno di grandi presentazioni Toni Servillo, uno degli attori più apprezzati del panorama italiano. Gomorra, Il divo, Una vita tranquilla, Il gioiellino, La grande bellezza, Loro, solo per citare alcuni dei capolavori a cui ha preso parte l’attore, aggiudicandosi un posto d’onore nel cuore degli italiani. Nato ad Afragola il 25 gennaio del 1959, Toni comincia fin da subito ad appassionarsi al teatro e pian piano si avvicina anche al cinema ed alla televisione, recitando più volte anche per il premio Oscar Paolo Sorrentino.