La recensione di Delta, l’opera seconda del giovane regista Michele Vannucci con protagonisti Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio: un film crepuscolare, arrabbiato e bagnato che naviga tra neo-western e thriller
Presentato lo scorso agosto in anteprima al 75° Festival di Locarno arriva in sala Delta, un film abbastanza anomalo nelle atmosfere e nei luoghi rispetto alla media dei film di genere italiani, e che sembra guardare a Joseph Conrad e a Schopenhauer. Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio danno vita a due personaggi antitetici destinati ad incontrarsi e a scontrarsi lungo il delta del Po, in uno spaccato di Emilia Romagna quasi primitivo e ferino.
La guerra dei pescatori
Sugli argini del delta del Po in un piccolo paese dell’Emilia, Osso (Luigi Lo Cascio) e sua sorella Nina (Greta Esposito) sono a capo di un’associazione ambientalista che pattuglia le sponde del fiume per evitare la pesca dei bracconieri. Un giorno scoprono che una piccola comunità di pescatori provenienti dalla Romania sta elettrificando le acque per catturare quanti più pesci possibile per poi rivenderli, senza l’autorizzazione né dell’associazione e né del consorzio per la tutela ittica. Tra questi pescatori c’è Elia (Alessandro Borghi), un loro concittadino fuggito anni prima in Romania, il quale ha convinto la sua nuova famiglia col suo capo Leon (Marius Bizau) a spostarsi proprio in quel posto per ottenere maggiori profitti e che ora rifiuta di andarsene. A peggiorare la situazione, oltre all’ostilità crescente tra pescatori locali e rumeni, ci si mette Elia stesso innamorandosi di Anna (Emilia Scarpati Fanetti), la barista del posto, ma sarà un atto di violenza efferata a far scoppiare una guerra senza esclusioni di colpa che non prevede pietà.

Cuore di tenebra
Sebbene a livello narrativo Delta prenda strade diverse dal capolavoro di Joseph Conrad non si può non notare quantomeno un forte influsso, una forte affinità sia nelle atmosfere e nelle ambientazioni che nel tema e negli argomenti. Il Po che compare in quest’opera seconda del giovane regista romano Michele Vannucci (Il più grande sogno) non è il fiume possente e regale che siamo abituati a vedere, ma ha piuttosto un aspetto acquitrinoso e stagnante, serpeggia tra le paludi con le sue acque torbide e quasi malsane e ricorda molto di più certi fiumi del sud degli Stati Uniti o dell’Africa centrale, come appunto quello che i protagonisti di Cuore di tenebra devono risalire. A differenza loro però Osso ed Elia sono legati dal sangue, da un istinto animalesco che il primo riesce a nascondere mentre il secondo mostra senza filtri, e dalla volontà di proteggere ognuno la propria comunità. Delta è quindi un film sullo scontro tra due comunità e due culture solo all’apparenza opposte, ma che invece fanno della prevaricazione, del non rispetto delle regole e dell’incapacità di mediare fra due diverse posizioni un motivo di orgoglio e di inevitabile autodistruzione. E, così facendo, nutrono xenofobia, razzismo, intolleranza, violenza, morte.

La rinascita del cinema di genere
Il percorso che Matteo Rovere e la sua Groenlandia stanno intraprendendo da ormai almeno dieci anni è quello di un recupero, di una riscoperta e di una rivalorizzazione del cinema di genere in Italia. Un percorso che comincia partendo proprio dai luoghi fisici, ambientazioni spesso lontane dalle città o che le raccontano senza quella solita patina rassicurante, all’insegna di un cinema che vuole fotografare le realtà e le contraddizioni meno conosciute del nostro paese. Qui l’arena narrativa è il delta del Po, ma allargando lo sguardo si può facilmente intuire come sia la provincia stessa la vera protagonista. Quella provincia fatta di uomini e donne che vivono incastrati tra passato e futuro, in un presente immutabile fatto di continue preoccupazioni, di diffidenza verso gli estranei e gli sconosciuti, di attaccamento morboso al territorio. Forse non è nemmeno un caso che si sia scelto questo particolare luogo, dati gli spiacevoli fatti di cronaca di alcuni anni fa, ma l’ambientazione di Delta è anche universale proprio perché ci costringe a fare i conti con un atteggiamento, una mancanza di empatia. Questa rappresentazione così veritiera e, proprio per questo dolorosa, è uno dei maggiori pregi di Delta assieme alle interpretazioni trattenute e mai sopra le righe di un cast perfettamente in parte, capitanato da un Alessandro Borghi inquietante nella sua umana bestialità e un Luigi Lo Cascio dilaniato tra desiderio di vendetta e senso della moralità.

Qualcosa però manca ancora
Delta è un film crudo, malsano e soffocante nella sua lenta e inesorabile discesa verso l’abisso, un film costruito con la capacità di raccontare un intero microcosmo attraverso i codici del thriller e del neo-western senza ricorrere a tentativi di imbonimento o peggio di attenuazione di certe dinamiche. La sensazione però è quella di un film incompleto, o forse non del tutto definito, un film la cui scrittura fatica a reggere i personaggi secondari o a dare loro un senso tematico e narrativo compiuto, preferendo invece rimanere incollato ai codici di genere per portare a compimento la storia e quindi gli archi di Osso ed Elia. Non che sia di per sé un male o uno sbaglio, ma forse ad un film che ha il coraggio di sporcarsi in molti aspetti produttivi dalla fotografia alle scenografie, dai costumi fino alla regia alle volte volutamente “sghemba” di Michele Vannucci, sarebbe stato giusto chiedere un coraggio ancora maggiore in fase di sceneggiatura. Quel guizzo in più, quella capacità di far parlare la tragedia anche senza mostrarla, di giocare con il sottotesto, di essere paradossalmente meno diretti e più obliqui. O forse, più semplicemente, di staccarsi dai paradigmi e raccontare una storia che sapesse meno di già visto.
Delta. Regia di Michele Vannucci con Alessandro Borghi, Luigi Lo Cascio, Greta Esposito, Emilia Scarpati Fanetti, Marius Bizau e Denis Fasolo, in uscita nelle sale il 23 marzo distribuito da Adler Entertainment.
Tre stelle