David Lynch è l’ospite d’onore della 12a Festa del Cinema di Roma, arrivato nella Capitale per ricevere il Premio alla Carriera. Nell’incontro riservato alla alla stampa ha fornito interessanti risposte alle domande dei giornalisti.
L’ospite più atteso della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è senza alcun dubbio lui. E, in attesa di ricevere il Premio alla Carriera dalle mani di Paolo Sorrentino e di incontrare il suo pubblico (i biglietti per l’incontro ravvicinato sono andati esauriti in appena una manciata di minuti) David Lynch si concede alla stampa con ironia e insospettabile generosità. Sebbene stringato nelle risposte, l’autore di capolavori epocali come Elephant Man e Velluto Blu sembra avere voglia di farsi conoscere e capire, a dispetto di un corpus di opere tutt’altro che semplici da decifrare.
Quello che segue è il resoconto dell’incontro con uno degli autori più influenti e iconici dell’ultimo mezzo secolo.
L’essere definito ormai da tempo come il regista dell’inconscio è una cosa che la fa sorridere o la soddisfa?
Se parliamo di inconscio, è qualcosa che non conosci.
Sembra esserci una grande fiducia tra lei e le persone con cui lavora ma, allo stesso tempo, sembra avere il controllo totale dell’intero processo. Come fa a bilanciare questi due elementi, fiducia e controllo?
Puoi controllare solo le persone di cui ti fidi. Di base provi a parlare con i tuoi collaboratori fino a portarli sulla stessa strada su cui ti conduce la tua idea, e immagino che per raggiungere questo risultato ci sia bisogno di una grande confidenza.
Quali sono state le sue prime fonti d’ispirazione?
Mi piacciono Franz Kafka, Jacques Tati, e poi mi piacciono un sacco di registi diversi, ma per lo più trovo ispirazione nelle idee che mi arrivano, che per me sono come regali fatti a un bambino nel giorno di Natale.
Ha intenzione di andare avanti con Twin Peaks, magari con una quarta stagione?
È troppo presto per dirlo.
Anni fa dichiarò di avere ultimato una sceneggiatura su Kafka. Crede che ci sarà mai modo di vederla realizzata?
Ho scritto quella sceneggiatura molti anni fa, ma poi ho realizzato che il bello di Kafka è soprattutto nelle parole. Per cui dopo aver finito lo script ho pensato che fosse molto meglio che Kafka rimanesse nei libri.
Nei suoi film è molto importante l’atmosfera densa di richiami e simbolismi. Se potesse tornare indietro nel tempo per rivivere da spettatore l’atmosfera di uno dei suoi film, quale sceglierebbe?
Mi sono divertito a lavorare su ognuno dei miei film. Eccetto Dune, ovvio.
Per girare Dune lei rinunciò a dirigere Star Wars. Se ne è mai pentito?
No. All’epoca dissi chiaramente a George Lucas che l’unico che avrebbe potuto dirigere Star Wars era lui. Semplicemente non faceva per me.
Lei ha lavorato con David Bowie in Fuoco cammina con me e probabilmente era previsto un suo ritorno anche nella terza stagione di Twin Peaks. Ha un ricordo particolare di lui?
Come chiunque amo Bowie e lavorare con lui in Fuoco cammina con me è stato fantastico. Ovviamente gli ho chiesto di tornare a collaborare anche per questo nuovo Twin Peaks e, quando lui mi disse che non sarebbe riuscito a farlo, gli chiesi “perché?”. Adesso so perché ed è una cosa che mi rattrista.
Ho sempre trovato una similitudine tra i suoi film e quelli di Werner Herzog. Le piace il cinema di Herzog e, in qualche modo, vi trova delle connessioni con il suo?
Mi piace molto Herzog, sia come persona che come regista. Werner è una persona che vive di ossessioni. E io amo chiunque viva di ossessioni.
Prima di quel lunghissimo film che è l’ultima stagione di Twin Peaks, il suo ultimo lavoro per il grande schermo è stato Inland Empire. C’è qualche nuovo progetto nel suo cassetto pronto a vedere la luce?
No, non c’è nessun progetto all’orizzonte.
Lei è uno dei pochi registi contemporanei a cui è associato un aggettivo. Lynchiano è un termine ormai quasi di uso comune. Questa cosa la inorgoglisce, la imbarazza o ritiene che magari semplifichi in maniera un po’ brutale il suo lavoro?
Il mio dottore mi ha raccomandato di non pensare a questo genere di cose.
In che modo la meditazione che pratica da anni l’ha aiutata nel suo lavoro?
Questo mondo è pieno di negatività e stress in questo lavoro, due elementi che schiacciano il tubetto in cui scorrono le idee. La meditazione ti consente di entrare in una creatività pura e senza confini, rimuovendo la negatività, in modo da alleviare lo stress. Pratico la meditazione trascendentale da quarantaquattro anni ed è così che mi tiro fuori dalla merda, dati i tempi difficili in cui viviamo. Le persone dovrebbero essere felici e piene di energia. E dobbiamo godere del fare. Inoltre il mondo dovrebbe apprezzare il cibo e il caffè italiani!
Crede che ascoltare musica favorisca il processo creativo?
Sì, ne sono convinto. La musica è così astratta che riesce a suscitare emozioni e idee. Ho scritto tutto Velluto blu ascoltando Šostakovi. Le idee scorrevano con una fluidità impressionante. David Bowie è stata la base di partenza per Strade Perdute, per non parlare della musica di Angelo Badalamenti, che mi ha sempre fatto venire in mente molte idee. Trovo che la musica abbia una potenza incredibile all’interno del processo creativo.
Cosa ne pensa della sempre maggiore impronta autoriale nella serialità televisiva e dell’avvicinarsi tra cinema e TV sia da un punto di vista qualitativo che narrativo?
L’industria cinematografica non sembra vivere un buon periodo. La gente va a cinema per vedere sempre più film d’azione ed è come se la TV si sia assunta il compito di ospitare quell’arte che non trova più spazio sul grande schermo. In generale oggi la TV offre una libertà che il cinema non ha più da tempo. L’unico problema, semmai, è che la TV non ha ancora la stessa perfezione di suono e immagine del cinema.
E ci sono delle serie TV che l’hanno particolarmente colpita?
Senz’altro Mad Men. E Breaking Bad.
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