La recensione di Bros, prima storica commedia prodotta da una major con un cast quasi interamente LGBTQ+, scritta e interpretata da Billy Eichner con Luke Macfarlane e Guillermo Díaz e presentata nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma
Ragazzo incontra ragazzo, ragazzo si innamora di ragazzo, ragazzo cerca di bilanciare la sua vita incasinata e le sue insicurezze per conquistare ragazzo. La solita commedia romantica? Non proprio. Alla 17ª Festa del Cinema di Roma è arrivata Bros, la commedia LGBTQ+ vero e proprio caso negli Stati Uniti scritta e interpretata da Billy Eichner e diretta da Nicholas Stoller. Perché l’amore non ha orientamento sessuale, ma resta sempre un gran casino.
L’uomo giusto
Bobby (Billy Eichner) ha raggiunto i 40 anni e vive a New York, dove è autore e host di un podcast chiamato The eleventh brick at Stonewall in cui racconta storie legate ai grandi pionieri della comunità LGBTQ+. Grazie al suo impegno instancabile ottiene un lavoro come curatore di un museo di storia LGBTQ+ in piena Manhattan, il primo al mondo dedicato a questa tematica. Una sera Bobby che è sempre stato orgogliosamente single conosce Aaron (Luke Macfarlane), un avvocato all’apparenza noioso, durante la festa per il lancio di una nuova app gay e se ne innamora. Nonostante all’inizio Aaron non appaia particolarmente interessato a Bobby i due cominceranno ad uscire insieme, scoprendo man mano una fortissima attrazione reciproca che presto sfocia in amore. La loro relazione appena nata dovrà confrontarsi però con i caratteri molto diversi dei due uomini, con un gruppo di amici particolarmente difficili da gestire e con le aspettative della famiglia di Aaron, la quale si presenterà a New York a ridosso del Natale per trascorrerlo assieme a lui e conoscere Bobby. Tra orge, app d’incontri, litigi e un’importante mostra di apertura da organizzare l’amore tra Bobby e Aaron riuscirà a sopravvivere? E se sì, quanto durerà?

Non la solita commedia romantica
Bros arriva in un momento storico in cui la comunità LGBTQ+ può finalmente godere di una rappresentazione lontana dagli stereotipi del caso, e più vicina alla complessità di un mondo fatto di tanti colori e sfumature sia culturali che umane. La storia di Bobby e Aaron non è particolarmente innovativa o pionieristica nella costruzione e nello sviluppo, ma piuttosto nel tono e nel registro che vengono adottati per raccontarla. Come infatti lamenta lo stesso Bobby nel film, le storie d’amore tra due uomini o due donne nella letteratura o al cinema hanno quasi sempre richiesto una componente tragica perché potessero prendere forma, con il risultato di associare in maniera più o meno diretta l’omosessualità al dolore, all’incomprensione e persino alla morte. Bros rappresenta quindi una gradita eccezione, soprattutto per via di dialoghi affilatissimi e di personaggi che hanno ben poco di consolatorio o “carino”. Sebbene, come già dichiarato, lo sviluppo degli eventi si appoggi su di un modello di commedia romantica già ben rodato da decenni, Eichner e il co-sceneggiatore Stoller hanno il merito non banale di arrivare al finale in maniera trasversale, di giocare con le regole del genere piegandole a loro piacimento.

Love is love
Bros vuole essere, prima che una commedia d’amore, una commedia sull’amore. Quello non eterosessuale, in primis, ma anche l’amore per la propria comunità, per gli amici che ci restano accanto soprattutto nei nostri momenti peggiori, per la nostra famiglia che ci ama per quello che siamo senza il bisogno di accettarci. Quello di Bobby è un personaggio vero, pieno di crepe e imperfezioni, doloroso per certi versi ma anche terribilmente divertente per altri, un personaggio che cerca la sua felicità non tanto in ciò che fa o nei suoi obiettivi esterni ma piuttosto in ciò che è e che sa di non voler o poter cambiare. Un uomo che, al contrario di Aaron, ha oramai del tutto interiorizzato la sua omosessualità, il suo essere così teatrale nei gesti e nella voce, la sua personalità così dirompente e priva di filtri. Quello di Bobby è un personaggio che più di ogni altro esprime il tema del film, quello dell’accettazione e dell’amore da parte di sé stessi per sé stessi, senza compromessi. Ecco, Bros racconta prima di tutto questo amore qui: il più difficile da trovare, ma senza il quale non potremmo sperare di sopravvivere.

Una pesante eredità
Bros non è una commedia che vuole soltanto rompere gli schemi o le barriere, ma anche offrire uno spunto di riflessione sull’eredità di una lotta che va avanti da più di 50 anni, sin da quando quel mattone fu scagliato contro quella vetrina in quel giorno di fine giugno del 1969. L’eredità di una comunità sopravvissuta ad una pandemia terrificante dalla quale è stata decimata, che ha affrontato l’indifferenza delle istituzioni e dell’opinione pubblica, che ha lottato contro lo stigma e il pregiudizio e che solo alla fine si è vista riconoscere quei diritti fondamentali fino ad allora negati. Senza voler essere paternalistico o “bacchettone” Bros si rivolge allora ai generazioni dell’oggi, quelli che la storia non la conoscono fino in fondo e a cui servirebbe un museo intero per potersi addentrare nei meandri della lotta per la causa LGBTQ+; quelli che sì sono woke e vorrebbero essere aperti e tolleranti a tutti i costi e con le migliori intenzioni, ma che alle volte agiscono in maniera confusa e superficiale perché non possono immaginare la portata del dolore che c’è stato prima.
Quelli che “mentre noi abbiamo avuto l’Aids, loro hanno avuto Glee”.
Bros. Regia di Nicholas toller con Billy Eichner, Luke Macfarlane, Guillermo Díaz, Harvey Fierstein e Debra Messing, in uscita nelle sale il 3 novembre distribuito da Universal Pictures Italia.
Quattro stelle