Baby, serie tv targata Netflix, sui fatti di cronaca che hanno coinvolto i quartieri alti della Capitale, non convince e non stupisce. Un teen drama glamour, che strizza l’occhio a prodotti americani già visti, con un buon cast e un’ottima regia.
Dentro un acquario sognando il mare
«Siamo immersi in questo acquario bellissimo, ma sogniamo il mare. Per questo dobbiamo avere una vita segreta.», con questa frase suggestiva, che accompagna il campo lungo sugli eleganti palazzi signorili dei Parioli, si apre il primo episodio di Baby, serie tv targata Netflix, ispirata ai fatti realmente accaduti del 2014 sul giro di prostituzione minorile che ha coinvolto il celebre quartiere romano. A pronunciare queste parole è Chiara (Benedetta Porcaroli), sedicenne acqua e sapone di famiglia benestante e apparentemente felice, che frequenta l’esclusivo (e immaginario) liceo privato Collodi, sede dell’istruzione elitaria della capitale e delle chiavi per aprire le porte giuste per la costruzione di un futuro roseo. La ragazza ha però alcuni peccati veniali nascosti dietro al viso angelico e all’eccellenza scolastica, che le fanno inevitabilmente incrociare il destino con la turbolenta Ludovica (Alice Pagani), giovane dalla situazione familiare difficile e nel costante mirino dei compagni di scuola che la deridono e la isolano, poiché ama indossare i panni della ribelle dark e trasgressiva. Tra amori adolescenziali, tradimenti, droga, eccessi e locali notturni, le due finiranno per entrare in contatto con gente pericolosa, che le introdurrà nel mondo della prostituzione.
Vite segrete
Prigioniere quindi, in un acquario, in una campana di vetro, in una fragile gabbia dorata, fatta di perfezione fittizia che crolla sgretolandosi pezzo dopo pezzo, quando scostano il sipario che copre il dietro le quinte del loro mondo, scoprendo le dolorose crepe di quei legami familiari e amorosi, creduti indissolubili e autentici, ma decisamente sull’orlo del precipizio. Si creano così una vita segreta, Chiara e Ludovica, pieno di lustrini, luci psichedeliche, musica alta per non pensare e sconosciuti da sedurre per sentirsi importanti, per sentirsi adulte, prendendo parte a un “gioco” più grande di loro, che ingenuamente pensano di poter gestire.
#FollowMe
Baby affida quasi completamente a schermi di smartphone e dunque a Instagram e compagnia bella, la narrazione degli accadimenti dei personaggi, ricordandoci (e ammonendoci?) di come il cellulare e i social stiano avanzando sempre di più nella nostra quotidianità, finendo per alienarci e trasformarci in patetiche copie di noi stessi, che farebbero carte false per un like o un follower in più. Video scottati, foto e meme che documentano l’intera esistenza di una generazione (o forse più di una, vista la medesima ossessione condivisa dagli adulti), che per essere sicura di esistere ha la morbosa necessità di apparire, un’urgenza irrefrenabile che non può essere evitata, ma cercata costantemente, perfino sbandierando ai quattro venti il dettaglio più insignificante come un semplice pasto consumato in famiglia o tra amici, o postando un’immagine accattivante e seducente per ottenere più consensi possibili.
Un Gossip Girl all’italiana
Più che una serie che racconta e denuncia lo sfruttamento sessuale minorile, Baby sembra più un teen drama glamour, che attinge a piene mani da prodotti d’oltreoceano come Tredici o Gossip Girl, ambientandolo nei quartieri della Roma bene con tutto il suo splendente sfavillio e i suoi oscuri e sordidi scheletri nell’armadio. Feste da sballo, abiti griffati, uniformi scolastiche, ragazze popolari, viaggi studio in America e soldi, tanti tanti soldi, sono gli ingredienti di questi sei episodi, mescolati insieme a problemi adolescenziali legati a genitori sbagliati o troppo assenti e distratti, amori non corrisposti, bullismo e voglia di evadere. Un guazzabuglio in fondo già visto, che non offre nulla di nuovo e originale, ma che invece tende a cadere continuamente nei triti cliché sulla vita degli adolescenti benestanti e problematici.
Una promessa non mantenuta
La vera grande pecca di Baby, che lo rende un prodotto dalla buona partenza ma dalla riuscita mediocre, sta nel non riuscire a mantenere la solenne promessa di snocciolare la questione delle cosiddette squillo bambine. La serie infatti, non fa altro che narrare i retroscena della vita quotidiana delle Parioline, sfiorando soltanto la reale vicenda di cui si sarebbe dovuta occupare, offrendo un pallido accenno dello squallore e del pericolo che gravita attorno alla prostituzione minorile. Una visione troppo soft ed edulcorata di una delle pagine più torbide e sconcertanti della nostra storia contemporanea, scandagliata da una sceneggiatura a tratti retorica e banale e da una narrazione a volte superficiale e “pigra”: non a caso i primi tre episodi fungono da mera presentazione, solo dal quarto in poi la storia comincia a prendere forma, ma senza mai andare veramente in profondità.
Il cast, la regia, la colonna sonora
Ideato da Grams (un nuovo collettivo di autori composto da Antonio Le Fosse, Re Salvador, Eleonora Trucchi, Marco Raspanti e Giacomo Mazzariol), la serie si avvale di un buon cast, formato da big del cinema e della tv italiana come, Isabella Ferrari, Claudia Pandolfi, Galatea Ranzi, Paolo Calabresi, Massimo Poggio e Tommaso Ragno, ultimamente visto ne Il miracolo, che con la loro grande esperienza riescono a tratti a dare corpo a personaggi incredibilmente stereotipati. Ma la vera sorpresa sono le nuove leve, capeggiate dalla brava Benedetta Porcaroli, la Federica Ferraro di Tutto può succedere, che con la sua naturalezza dona al personaggio di Chiara credibilità e spessore. Non male anche le interpretazioni di Alice Pagani, reduce da Loro, di Brando Pacitto nel ruolo di Fabio, figlio pavido e gay del Preside, e di Riccardo Mandolini nei panni del coatto e sovversivo Damiano, il resto del cast giovane di certo non brilla, ma fa quello che può. La regia di Andrea De Sica e Anna Negri, si appoggia a modelli ben affermati del cinema italiano e straniero, ricordando molto Sorrentino e in alcuni casi anche Refn, a partire da una fotografia con colori vividi e irreali che richiamano alla mente Drive. Anche la colonna sonora è azzeccata, un miscuglio di brani attuali, tra cui quelli di Maneskin e The Giornalisti, e della noiosa e insopportabile trap, con pezzi cult come Girls Just Want to Have Fun di Cyndi Lauper o classici come Montagne verdi di Marcella Bella, fino ad arrivare alla raffinatezza dei London Grammar che scandiscono i momenti di maggiore pathos. Possiamo dunque asserire che Baby è un prodotto ben confezionato, ma che purtroppo non ha saputo soddisfare le aspettative.
Baby è una serie diretta da Andrea De Sica e Anna Negri, con Benedetta Porcaroli, Alice Pagani, Brando Pacitto, Riccardo Mandolini, Isabella Ferrari, Galatea Ranzi, Paolo Calabresi, Claudia Pandolfi, Tommaso Ragno e Massimo Poggio, distribuita sulla piattaforma Netflix dal 30 novembre.