Apice ci racconta il nuovo singolo Geronimo

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Apice ci racconta il nuovo singolo Geronimo, della piccola ed apprezzata etichetta indipendente di cui fa parte, la Clinica Dischi e molto altro

Ciao Manuel, in Geronimo canti di indiani, di cadere per fare la storia. In che modo l’immagine dei pellerossa si collega ai giorni nostri, alle nuove generazioni?

Ciao! Guarda, in realtà quella dell’indiano una metafora che viene dopo, nel senso che volevo raccontare una condizione di ritorno alle origini, di recupero di qualcosa che è perduto o almeno sembra esserlo: quella condizione di “verginità” che poteva avere l’America prima dell’arrivo di quella che i conquistatori, da sempre, amano chiamare civiltà. Non ho mai capito come l’idea di conquista possa sposarsi con quella di civiltà, ma fatto sta che nel corso della storia la violenza ha sempre trovato il vestito giusto per farsi accettare in società; anche, e forse soprattutto, quando si parla di “educazione”. Per rispondere alla tua domanda, ritengo che gli indiani non abbiano nulla a che spartire con le nuove generazioni, e credo che proprio questo sia il punto della mia canzone.

Raccontaci lo storytelling del videoclip, molto originale!

Ti devo deludere, non c’è nessuno storytelling perché tutto il videoclip ruota intorno al tentativo di fotografare un senso di disagio che, per quanto reso in modo piuttosto divertito, rimane piuttosto alienante; insomma, non c’è una vera e propria storia, c’è più che altro una “situazione”. Forse la cosa più interessante da dire è che Francesco Quadrelli, che è il mio regista preferito, ha girato, montato e prodotto il tutto in un totale di ventiquattro ore, e credo sia forse uno degli aspetti che hanno più inciso sul risultato finale: quando hai così poco tempo a disposizione, o trovi la naturalezza della semplicità oppure finisci col fare, il più delle volte, pastrocchi tremendi. La gattina frettolosa fa i figli ciechi, ma per fortuna Francesco ci vede benissimo!

Quali sono gli elementi musicali di cui vai più fiero in questo brano, frutto anche del lavoro in studio?

Ti direi che mi piacciono molto cose sulle quali ho avuto poco controllo: ho la fortuna di lavorare in un contesto creativo in cui mi posso occupare dell’unica cosa che so fare in modo accettabile, ovvero provare a scrivere canzoni, perché di tutto il resto si occupano Leo e Marco, i produttori di Clinica Dischi. Volevamo cercare sonorità un po’ “diverse”, perché la forma canzone qui è un po’ diversa: non c’è un ritornello, la struttura è piuttosto anarchica… è venuto fuori qualcosa che mi piace molto perché credo che sia difficile da “inquadrare” a primo ascolto. Ecco, forse questa complessità non ricercata, ma piuttosto spontanea e soprattutto non “sabotata” nel nome dell’immediatezza, è quello che mi piace di più di quanto fatto su “Geronimo”.

Hai pubblicato in occasione del tuo compleanno due brani in acustico. Di cosa parlano e come si collegano al tuo repertorio?

Parlano di me, come tutti i miei pezzi: non amo parlare di cose che non conosco, ed effettivamente credo di conoscermi poco ma comunque un po’ di più di quanto possa conoscere quello che sta fuori da me. Anche se adesso sto provando a scrivere canzoni che, finalmente, possano parlare anche di qualcos’altro, sennò poi la gente si annoia. Anche perché il primo ad annoiarsi facilmente, in questi casi, sono proprio io.

La Clinica Dischi è tra le realtà indipendenti più apprezzate. Quali pensi sia la chiave di questo e come è nato il tuo incontro con loro?

Penso che la chiave stia nell’approccio che Clinica applica nel fare le cose: crede in idee artistiche in cui investe e lo fa da totale indipendente che, insomma, non è cosa da poco; quella di “investire”, nel contesto discografico di oggi, è una possibilità che solitamente è limitata alle major, per ovvi motivi di introiti e guadagni che derivano da strutture con un certo tipo di potere, storia, mercato… Clinica gestisce tutto internamente: ha un proprio team di produzione, un proprio ufficio stampa interno, una propria squadra di management e un proprio studio di registrazione utile ad abbattere ed “internalizzare” tutti i costi che artisti e label indipendenti si trovano a dover affrontare in totale solitudine quando si approcciano alla produzione di un progetto. E questa gestione interna diventa anche un modo per dare un timbro identitario a tutto quello che esce da Clinica. Credo che la chiave, insomma, stia nella parola “identità” che è una parola bellissima, ma anche difficile da usare senza cadere in retorica e luoghi comuni. Qui, però non credo di averla usata a caso. Per quanto riguarda me, li ho conosciuti diverse volte, in diversi modi e momenti: poi, durante uno di questi “momenti”, si è deciso di sposarci. Siamo felici, almeno io lo sono molto.

Tre artisti che stai ascoltando al momento che ci consigli

Ibisco, Galea e gli MGMT.

Il Festival di Sanremo 2022 è stato un grande successo. Quale artista hai apprezzato?

Sono sconvolto dal fatto che, ogni anno, finisco per avere una motivazione utile per incollarmi al televisore. Quest’anno, quella motivazione si chiama Giovanni Truppi e già detesto il fatto che ora sarà “di tutti” e non solo più “nostro”: ovviamente, sono ironico. E’ un traguardo bellissimo per uno che ha sempre fatto le cose a modo proprio, e che forse avrebbe meritato di essere “scoperto” ben prima dei quarant’anni, ma la bellezza è così: richiede sempre una grande attenzione, che è esattamente il contrario di ciò che il mercato del consumo ci vuol lasciare esercitare. Ciao, e grazie!

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