Alias Grace, miniserie Netflix tratta dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood, è un viaggio labirintico nella mente criminale femminile e una lente d’ingrandimento sulla condizione delle donne in epoca vittoriana.
Tempo fa vi avevamo dato la notizia dell’uscita su Netflix di una nuova serie tratta da un romanzo della scrittrice e attivista Margaret Atwood, dopo il successo già ottenuto con il riadattamento di The Handmaid’s Tale, disponibile invece sulla piattaforma di streaming Hulu. Abbiamo visto per voi Alias Grace (L’altra Grace) e vi proponiamo qui la nostra recensione di questo nuovo gioiello del piccolo schermo che esplora l’universo femminile del passato raccontandoci la storia, ispirata ad un fatto vero, di Grace Marks, giovane irlandese immigrata in Canada, accusata di un brutale omicidio e imprigionata per trent’anni.
Demone o santa: lo sguardo sulla donna nella storia
Un tema fondamentale della serie è quello della rappresentazione della donna. L’unico posto che le spetta è quello di demone o santa, senza sfumature né contraddizioni. Lo sguardo semplicistico della società vorrebbe rinchiudere l’esistenza femminile in categorie fisse, scatole chiuse non comunicanti tra loro. Se poi il soggetto da giudicare è, come in questo caso, una giovane fanciulla d’umili origini accusata di omicidio, il peso di questa visione rigida è ancora più accentuato: vittima o carnefice, ingenua o manipolatrice, pazza o fredda assassina. Certo, c’è una verità giuridica da accertare, ma emerge subito che questa non è fondamentale nel caso di Grace: le persone che ha attorno fremono dal bisogno di applicarle una qualsiasi etichetta, per poter comprendere ciò che sfugge e renderla intellegibile, definita in uno spazio certo. La protagonista, in tutti gli episodi, non fa che accontentarli, soddisfacendo questo bisogno.
Una verità che sfugge
«Un miraggio adorabile ed enigmatico», così la definisce Simon Jordan (Edward Holcroft), il dottore incaricato di analizzare la mente di Grace. La fanciulla è una verità che sfugge di continuo, e proprio quando si pensa di averla finalmente afferrata, ecco che lei cambia volto e diventa altro. La rincorsa di una verità che continua a scivolare via è l’altro grande tema di Alias Grace, chiaro sin dalle prime scene, che ci mostrano la protagonista davanti ad uno specchio intenta a provare, letteralmente, le varie espressioni corrispondenti ai giudizi che si è sentita dare nel tempo. Questa è una scena magistrale, soprattutto per la bravura dell’attrice Sarah Gadon, che riesce davvero a trasmettere, con un repentino cambio d’espressione o appena un leggero cenno del capo, un cambio di personalità. Grace ci appare per la prima volta così, mentre fa le prove allo specchio della maschera che più le calza, e fin dall’inizio non possiamo fare altro che dubitare di qualunque cosa ci verrà mostrata in seguito.
Il doppio e lo specchio
La scena iniziale anticipa un altro importante tema, quello del doppio e dello specchio. Questo è un parallelismo importante: vediamo Grace allo specchio tre volte, ogni volta diversa. Nella scena d’apertura ragiona attorno al termine ‘assassina‘, presentandosi in fondo come tale. La seconda volta ci propone una nuova versione di se stessa: una Grace che vorrebbe ritrovarsi ed essere ritrovata, essere vista finalmente nella sua vera identità. E, citando un passo biblico, così afferma: «perché ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia…ma per vedersi faccia a faccia bisogna essere in due». La terza e ultima volta occorre dopo che Grace ha appreso la notizia della sua liberazione, e qui si presenta allo specchio in quanto vittima, destinata ad ispirare pietà e non più orrore: così la rivediamo ancora mentre prova le sue maschere, perché, come dice, «ciò richiede un cambiamento del volto». Il doppio avrà la sua personificazione in Mary Whitney, l’amica di Grace morta anni prima a seguito di un aborto clandestino.
Le donne di Alias Grace: nemiche e compagne
Mary e Nancy sono le due donne che hanno un ruolo chiave nella storia. Per loro Grace ha sentimenti contrastanti, le sente vicine e lontane, vittime allo stesso modo come lei di una società brutale e maschilista, ma anche peccatrici e presenze angoscianti. Mary soprattutto incarna un tipo di femminilità sfacciata e combattiva, all’inizio l’opposto di Grace, ma che viene totalmente assorbita via via dalla protagonista, come risulta evidente nella scena dell’ipnosi. Doppia personalità? O semplicemente Grace si nasconde dietro l’amica morta per raccontarsi finalmente senza pudore? Non ci è dato saperlo. Quello che sappiamo è che la protagonista sviluppa un vero e proprio attaccamento verso le due donne, come dimostra la scena finale in cui tesse una trapunta usando pezzi dei loro vestiti, «così staremo tutte insieme», dice. La trapunta era già comparsa nelle prime scene, e rimanda alla dimensione casalinga e femminile, spesso luogo di insospettabili paure e pericoli sconosciuti invece all’uomo.
I labirinti della mente di Grace
Mary Whitney è una figura centrale nel racconto di Grace, destinata a segnarla per sempre. Una delle ipotesi che possiamo formulare è che sia stato proprio l’evento traumatico della sua morte ad aver innescato la follia nella protagonista, che sembra sviluppare un vero e proprio sdoppiamento di personalità. Mary diventa un’ossessione che si riattiva più forte che mai quando Grace si trova a rivivere una seconda volta il trauma nel momento in cui Nancy Montgomery, la governante della casa presso cui lavora, resta incinta. Sembra quasi che Grace non riesca a sopportare l’eventualità di un destino fortunato per questa, mentre all’amica era toccata una sorte così brutale. Perché, per lo stesso peccato, le sorti devono essere così diverse? Oppure siamo davanti ad una mente squilibrata che ha bisogno di rivivere il trauma per poterlo superare, e per questo arriva ad uccidere la donna? Non lo sappiamo. Sappiamo solo che la mente di Grace è un labirinto oscuro in cui tutto si intreccia e si confonde, un antro buio simboleggiato proprio da quello scantinato sotterraneo in cui vengono ammucchiati i cadaveri. È lì dentro che siamo nel punto più profondo della sua mente.
La colpa: quando siamo davvero responsabili?
«Non avete ancora capito che siamo colpevoli non per ciò che facciamo, ma per ciò che gli altri fanno a noi», dice Grace in un episodio. Il tema della colpa è un filo rosso che attraversa la serie e non ci lascia pace. Si può essere colpevoli se riconosciuti folli? Ma soprattutto il male è innato o è il frutto del dolore che il mondo ci infligge? Fin dal primo episodio siamo partecipi, attraverso i racconti della protagonista, dei traumi e degli abusi che è stata costretta a subire. Ancor prima della morte di Mary, la futura assassina perde la madre durante il viaggio in nave dall’Irlanda verso il Canada, e la stiva maleodorante e asfissiante in cui giace il suo corpo ci rimanda allo scantinato in cui viene consumato l’assassinio anni dopo. Poi assistiamo agli abusi continui del padre, uomo violento e depravato, oltre che a quelli di una società che tratta le donne come oggetti d’appartenenza del signore di turno. Dunque, se anche Grace avesse davvero commesso l’omicidio, dobbiamo accusare solo lei, o almeno sul piano etico è tutto un sistema ad aver reso una ragazzina dal viso angelico un mostro senza scrupoli?
Sessismo e classismo: l’intersezionalità in Alias Grace
Un altro merito di Alias Grace è quello di ritrarre in maniera veritiera e storicamente accurata la società vittoriana e la situazione delle donne all’epoca, secondo una prospettiva intersezionale che mostra le connessioni spesso poco rappresentate tra sessismo e classismo. La donna è discriminata doppiamente, non solo per la posizione sociale che eventualmente occupa, ma anche per il proprio genere di appartenenza. La serie in questo non fallisce e, oltre a mostrare gli abusi ed i pericoli in agguato per l’intero genere femminile (stupri, molestie, subalternità, aborti clandestini), descrive molto bene la situazione delle classi più povere e, in particolare, quella degli immigrati in viaggio verso il Canada e gli Stati Uniti, sottoposti a condizioni disumane e degradanti. Questo non può essere un caso se pensiamo che Margaret Atwood, scrittrice e attivista femminista, ha collaborato largamente alla realizzazione della serie, seguendone ogni fase. Piccola curiosità: la scrittrice compare anche in una scena!
Tempi e narrazione: un pattern confuso
La struttura di Alias Grace è costruita su diversi piani temporali, con continui flashback sul passato. La narrazione è affidata a Grace, che durante le sedute con il dottor Simon ripercorre la vicenda dopo molti anni dall’omicidio di Nancy Montgomery e del padrone Thomas Kinnear. Proprio perché il racconto è affidato a Grace, noi stessi da spettatori siamo coinvolti nell’inchiesta/analisi, ponendoci gli stessi dubbi sulla veridicità dei fatti, vagando interdetti tra sentimenti ambigui e illusorie illuminazioni presto destinate a contraddirsi. Fino alla fine non sappiamo come considerare Grace, un momento proviamo empatia, quello dopo angoscia, poi orrore. Alias Grace è un pattern di ricordi assemblati, percezioni sfuggenti, pezzi di vita che non sappiamo come e dove collocare. A proposito di narrazione e ricordi, a molti è sfuggito che quando Grace parla del suo arrivo presso l’abitazione di Thomas Kinnear racconta che la governante Nancy non la saluta nemmeno; ma qualche puntata dopo vediamo la stessa scena diversamente, con una Nancy sorridente che calorosamente la saluta da lontano, e non è un caso. Un dubbio ci divora: la protagonista non ricorda davvero o ci sta manipolando?
Il vuoto e la scomposizione
Tra le varie teorie, non possiamo non prendere in considerazione quella che vorrebbe Grace una spietata assassina, dalla personalità sociopatica, priva di empatia e rimorso. Indizi per avvalorare questa tesi sono i continui riferimenti della protagonista al vuoto che sente e alla mancanza di senso, oltre che alla perdita della bussola morale: «non stavo guardando né il paradiso né l’inferno, ma solo il vuoto», afferma in un episodio. Ancora di più, in alcuni punti Grace mostra un attaccamento morboso per i dettagli apparentemente futili, un gusto della scomposizione, un atteggiamento quasi feticista verso oggetti o parti del corpo. Gli orecchini d’oro di Nancy, le calze, il collo, il foulard, il tappeto che teme di macchiare di sangue sopra ogni cosa. Questo è evidente soprattutto nella prima scena, in cui al concetto di assassina Grace abbina determinati odori e oggetti, e flash velocissimi ci mostrano arti coperti di sangue, fiori secchi, una gonna frusciante. Questo feticismo per i dettagli e questo sguardo che scompone ci regala delle vibes alla American Psycho, e non è un caso data la regia di Mary Harron.
Una Sherazade dell’epoca vittoriana
Possiamo scervellarci alla ricerca di una verità definitiva, ma l’unica verità con cui ci lascia Alias Grace è quella di aver assistito ad un racconto avvincente ed affabulatorio, in cui non conta tanto mettere insieme i pezzi, quanto piuttosto lasciarsi ammaliare da questa bellissima donna dal viso innocente che potrebbe davvero aver commesso un crimine tanto efferato ed essere una crudele psicopatica, ma non lo sapremo mai. Nella serie stessa Grace è paragonata da un personaggio a Sherazade, la principessa che per salvarsi la vita inventava ogni notte una storia diversa per il marito. Ed è proprio così: Grace è una moderna Sherazade le cui storie non possono essere inserite nella categoria di vero o falso, perché forse lei ci ha raccontato quel che aveva bisogno di raccontarci per raggiungere il suo unico scopo: intrattenere il sultano. E diciamo che ci è riuscita perfettamente!
Una serie imperdibile
Tra i punti di forza di Alias Grace c’è un cast eccezionale, che vede spiccare i già citati Sarah Gadon ed Edward Holcroft, Anna Paquin (Nancy Montgomery), Zachary Levi (Jeremiah), David Cronenberg (Reverendo Verrenger) e Paul Gross (Thomas Kinnear). Alla regia troviamo come detto Mary Harron, mentre ad occuparsi della sceneggiatura è Sarah Polley. Alcune curiosità che aggiungono qualità alla serie: le scene della prigione sono state girate nel penitenziario di Kingston, dove la vera Grace Marks, che ha ispirato la storia a Margaret Atwood, è stata imprigionata; Sarah Gadon ha davvero imparato a ricamare trapunte e nelle scene in cui la vediamo impegnata in quest’attività non sta fingendo, come possiamo notare anche dalle mani piene di calli, che rendono il personaggio ancora più realistico. Alias Grace è disponibile sulla piattaforma di streaming Netflix dal 3 Novembre.