At Eternity’s Gate, nuova opera di Julian Schnabel sull’esperienza creativa di Vincent Van Gogh, interpretato da un grandioso Willem Dafoe. Non un comune biopic, ma un vero e proprio viaggio verso la trascendenza.
Presentato alla 75° Mostra del Cinema di Venezia At Eternity’s Gate, il film diretto da Julian Schnabel su Vincent Van Gogh, con uno strepitoso Willem Dafoe nel ruolo del protagonista. Il regista prima di iniziare la conferenza, schiera il suo meraviglioso cast per presentare uno a uno i personaggi e i suoi grandi interpreti, tra cui spicca un’affascinante Emmanuelle Seigner. Poi prende posto insieme a Dafoe e chiede un microfono per lo scenografo e braccio destro Jean-Claude Carrière seduto in platea. Ecco cosa hanno raccontato alla stampa.
Julian questa non è una semplice biografia, non ti sei approcciato alla storia in modo convenzionale, è stato un tipo di approccio più sensoriale, puoi spiegarci come sei arrivato a questa storia?
Julian Schnabel: Beh, prima di tutto, tutti quanti pensano di sapere tutto quello che c’è da sapere su Vincent Van Gogh, quindi sembrava assolutamente superfluo e assurdo fare un film su di lui. Io e Jean-Claude Carrière, siamo andati a vedere una sua mostra al Museo D’Orsay, eravamo da soli in questa stanza e guardare i suoi dipinti è talmente suggestivo che abbiamo avuto l’idea di fare un film che potesse regalare l’esperienza della visione di un’opera d’arte. In un museo ti fermi, osservi un quadro, ne assorbi le emozioni e poi passi a un altro, alla fine ti rimane da accumulare una mostra intera, e con Van Gogh accumuli tanti sentimenti, fai delle riflessioni, così ci siamo detti che forse era il momento di cercare una risposta a quelle domande, domande che sorgono inevitabilmente osservando le opere di quest’uomo. Chiedermi di spiegare il film è praticamente impossibile, perché abbiamo mescolato la nostra versione della verità con la verità stessa, abbiamo cercato di fare un film sui suoi sentimenti, sulla sua visione della pittura e di se stesso. Con Louise Kugelberg (ndr sceneggiatrice del film) abbiamo cominciato a lavorare al film con un laptop ovunque andassimo, in aereo, in Messico, perché volevamo lavorare onestamente e non smettevamo mai. Io poi sentivo molto da vicino questa spinta, questa pulsione, essendo stato pittore fin da giovane.
Da questo bellissimo film viene fuori una figura di Van Gogh abbastanza inedita, dal pensiero molto lucido, molto realista, tanto da arrivare a dire: «Questo è per me il momento della semina, la raccolta arriverà quando io non ci sarò più.», lei crede davvero in questa lucidità di Van Gogh o è solo una bella speranza cinematografica?
Julian Schnabel: Ci credo assolutamente, tutto quello che Jean-Claude e Louise hanno scritto è stato veramente scritto da Vincent Van Gogh nelle sue lettere, sono convinto che fosse assolutamente lucido e che fosse consapevole del suo rapporto con l’eternità. Nel film lui dice: «Quando comincio a dipingere smetto di pensare», l’ho scritto io, perché anch’io quando dipingo smetto di pensare, poi continua dicendo che smettere di pensare è una forma di meditazione, «Quando dipingo un quadro divento parte di esso sia esternamente che internamente», c’è un momento nel film in cui Willem dice che sa di poter e dover condividere con gli altri la sua visione, ma di non riuscirci, che sarà un dono per l’eternità.
Willem Dafoe: Dalle sue lettere si evince che Van Gogh fosse assolutamente ispirato e assolutamente lucido, il suo dramma è che razionalmente non poteva condividere i suoi speciali momenti visionari con gli altri. Era un uomo di grande cultura, che amava parlare non solo di pittura ma di tante altre cose, cose bellissime, abbiamo voluto creare un uomo, non un pazzo, e del resto dalle sue lettere si evince un uomo molto più articolato e adattabile di quanto si è stati portati a credere.
Ci sono alcune controversie nella storia, si dice che Van Gogh si tolse la vita con un colpo di pistola, ma questo non si evince nel film, come mai?
Jean-Claude Carrière: Non ci sono reali testimonianze sul suicidio di Van Gogh, assolutamente nessuna, è tornato in albergo già ferito allo stomaco, non ci sono prove di nessun suicidio, di nessuna pistola, probabilmente è morto in seguito a uno scontro, a una lite, quella del suicidio è probabilmente una leggenda romantica che aleggia attorno alla vita di Van Gogh, inoltre lavorava costantemente, all’incirca dipingeva un quadro al giorno.
Julian Schnabel: Semplicemente sul letto di morte ha detto «Non cercate altri responsabili», rispondendo alla domanda su chi fosse stato l’artefice della pallottola nello stomaco con cui tornò nel suo albergo. Nessuno trovò la pistola, né il suo materiale di pittura che potesse provare il suo malessere, difficile nasconderlo se pensi di suicidarti, è irrilevante cosa sia realmente successo, questo è un film.
Una domanda per Willem Dafoe, nella scena con il prete, quando Van Gogh affronta il tema della fede e parla del parallelismo tra la sua vita e quella di Gesù, pensa che quella discussione sia andata realmente così, e che Van Gogh pensasse veramente di avere delle analogie con Cristo?
Willem Dafoe: Non lo so, ma di certo era molto religioso, pensava che la bibbia fosse il miglior libro mai scritto, è cresciuto con una formazione religiosa, ha addirittura pensato di diventare un prete. Disse molte cose cu Cristo, come il fatto che vedesse grossi punti in comune tra la loro sorti, la loro natura, anch’egli incompreso fino a quando era in vita, e considerato un pazzo. Che si identificasse in lui? No, non credo, ma simpatizzava per lui, lo comprendeva.
Julian Schnabel: Io invece credo che assolutamente si identificasse con Cristo, ma nessuno era presente durante quella discussione, nessuno lo sa, ma con i dialoghi abbiamo lasciato comunque correre la fantasia, per cercare di fargli dire ciò che secondo noi si nascondeva dietro il suo dramma, i suoi sogni, il suo modo di vedere il mondo attraverso l’arte.
Quando si pensa a Van Gogh il primo riferimento che mi viene in mente è il Kirk Douglas di sessant’anni fa (ndr si riferisce al film Brama di vivere del 1956), volevo chiedere a Willem qual è stato il tuo approccio con questo personaggio? Come ti sei preparato, da dove sei partito?
Willem Dafoe: La cosa più importante, al di là di una preparazione leggendo le lettere, una biografia e documentandomi, era sapere che avrei dipinto, quindi avevo bisogno di Julian, mio vecchio amico con cui amo passare del tempo. Il suo aiuto per insegnarmi gli elementi chiave della pittura era cruciale, per dare una lettura più profonda ai miei gesti, che fossero semplici pennellate o quelli più complessi.
È stato semplice scegliere e formare il cast in base alla complessità dei personaggi, che sembrano quasi entrare e uscire dai dipinti, integrandosi completamente con la storia?
Julian Schnabel: Con Willem ci conosciamo da trent’anni, ed è stato di supporto tante volte a progetti e registi in condizioni che neanche potete immaginare, per cui non potevo aver miglior alleato possibile al mio fianco. Credo che Willem abbia lo spessore, la profondità interiore e il physique du rôle per incarnare la storia e il vissuto di Van Gogh, non ho mai pensato a nessun altro per il ruolo. Il resto del cast è formato interamente dalle uniche persone che volevo per ogni singolo ruolo, perché il percorso di At Eternity’s Gate non è stato un percorso razionale, quanto piuttosto un viaggio verso la trascendenza.